MOLO17 è una società che sviluppa prodotti digitali innovativi dal 2015. Tutti i membri del team seguono principi di lavoro agile e adottano politiche lavorative remote first. Con questi presupposti, è facile comprendere perché MOLO17 segua da vicino le tematiche legate al mondo della “Open Innovation”.

Oggi condividiamo il pensiero di Linus Dahlander e Martin Wallin, che nel mese di Giugno 2020 hanno pubblicato su Harvard Business Review un articolo dal titolo “Why Now Is the Time for Open Innovation”.
Linus Dahlander è un ricercatore con focus sull’innovazione specializzato in crowdsourcing, innovazione aperta e comunità online. È professore alla European School of Management and Technology. Martin Wallin è professore di Innovation Management e capo dipartimento imprenditoria e strategia alla Chalmers University of Technology.

Innovazione digitale: perché è fondamentale per la ripresa?

Il testo inizia descrivendo lo scenario attuale legato al Coronavirus come una interessante opportunità: secondo gli autori infatti, in modo controintuitivo questo periodo difficile ha stimolato collaborazioni guidate più dalla creazione di valore che dalla generazione di reddito, citando esempi di multinazionali come Siemens, Scania e Ford.

Questo accade in controtendenza con l’abitudine maggioritaria riscontrata nell’ultima decade, che vedeva grandi aziende formarsi con entusiasmo sul tema salvo poi non riuscire ad applicarlo. Ecco perché gli autori raccontano con enfasi lo scenario da loro percepito: stanno aumentando le opportunità di creare valore e le fondamenta sulle quali costruire collaborazioni future, cementificate dalla volontà comune di uscire dalla zona di comfort e superare i propri limiti.

Dahlander e Wallin propongono quindi un elenco di cinque brevi lezioni da ricordare per massimizzare le energie da dedicare all’implementazione di strategie di open innovation, stando così sulla cresta della nuova ondata di imprenditorialità virtuosa guidata da visioni ad ampio respiro e lungo termine.

Open innovation: non mettere la proprietà intellettuale al primo posto

La prima lezione del duo accademico cita un fatto: recenti ricerche raccontano che molte aziende, a causa del timore di “fughe di notizie” importanti dalle loro ricerche, finiscono per collaborare esternamente solo su argomenti minori.

Questo è sicuramente comprensibile, ma rallenta inevitabilmente il percorso verso la crescita di conoscenza, in un momento in cui sarebbe meglio creare che catturare valore.

Gli autori scrivono che le aziende smart sono quelle che si fidano dei loro interlocutori già minuziosamente selezionati, collaborando in attività cruciali, senza rischiare esposizioni negative. A suffragio della loro opinione, raccontano il caso di Scania, eccellenza manifatturiera globale: condividendo i loro ingegneri migliori con le aziende partner, non rischiano di divulgare informazioni ma applicano il loro know how in progetti co-disegnati.

Fare leva sulla motivazione di tutti i partner coinvolti

Seconda raccomandazione: capire cosa davvero motiva i componenti del team. L’assioma proposto infatti sostiene che, dopo l’entusiasmo iniziale, i progetti di open innovation spesso si basano sulla partecipazione attiva e volontaria di impiegati e partners. In questi contesti, l’approccio classico command & control non funziona, è necessario motivare i componenti della squadra con sincera attenzione verso i loro obiettivi personali.

Ad esempio alcuni sviluppatori software sono felici di condividere il loro lavoro per crearsi un valido portfolio online, altri sono più guidati da valori etici legati alla qualità, riutilizzabilità e modificabilità del codice, mentre alcune aziende sono desiderose di condividere tempo e risorse per fare leva sulle potenzialità delle community di ripagare lo sforzo con competenze ed asset complementari.

Individuare e coltivare relazioni con nuovi partner

La terza lezione è una sfida comune, trovare nuovi partner. I costi di ricerca, validazione e compliance sono sempre rilevanti, come lo sono quelli per creare una nuova relazione umana con le persone coinvolte. Ma, ancor più durante questa crisi legata al Covid-19, poter contare su nuovi partner in grado di apportare competenze e prospettive complementari è fondamentale.

Proprio la crisi ha facilitato la messa a terra di queste iniziative, almeno in due differenti modi. Primo, il top management ha diminuito il rischio per tutti gli attori coinvolti in molte realtà, incentivando modalità collaborative smart e fuori dagli schemi. Secondo, la globalità della situazione sta mettendo nella stessa condizione moltissime aziende simili, che aumentano quindi il numero di realtà alla ricerca di partner complementari alla ricerca di innovazione.

L’urgenza di risolvere un problema spinge verso la trasformazione

Le tipiche iniziative di open innovation in “tempi normali” prevedono l’assunzione di consulenti, la generazione di un torneo dell’innovazione e l’attesa di una serie di idee da valutare, anche se i risultati sono spesso scarsi. Per raggiungere livelli qualitativi elevati, le aziende devono preventivamente identificare la sfida di trasformazione che devono affrontare.

In tempo di crisi, le aziende smart colgono l’occasione per rinnovare le loro business unit che si occupano di innovazione. Gli autori portano ad esempio il settore dell’educazione all’interno del quale operano, che tra tutti ha visto un radicale cambiamento dell’erogazione quotidiana di servizi dovendo digitalizzare completamente le lezioni dalla sera alla mattina. Il loro punto di vista è che spesso l’ostacolo più grande all’innovazione è semplicemente la negligenza nel dedicarle del tempo.

Guardare al futuro ed ai suoi sviluppi promettenti verso l’open innovation

In ultima analisi, Dahlander e Wallin si chiedono per quanto queste osservazioni si manterranno valide nel prossimo futuro, soprattutto quando la situazione modificata dal Coronavirus tornerà alla normalità. A questa domanda ne aggiungono un’altra, legata alla nostra capacità come società di affrontare sfide enormi che non sono scomparse, ma hanno solo spostato il loro impatto su una scala temporale meno urgente di quella nel trend attuale, come ad esempio il riscaldamento globale. Le risposte che auspichiamo risiedono nella speranza che la collettività abbia capito che identificare un nemico comune può sbloccare in modo incredibile e collettivo velocità, solidità e creatività.

Una riflessione per i manager: le crisi modificano i comportamenti e le preferenze di clienti, impiegati e partner. Una strategia di open innovation può portare flessibilità e rendere stabile il percorso dell’impresa in acque agitate. Non pianificate come conservare, pianificate come progredire.

Conclusione: MOLO17 è open innovation, condivisione e confronto

Con questa vetrina, MOLO17 vuole raccontare quali temi stanno interessando la strategia evolutiva della società. Lo scopo è di condividere con approccio open le fonti ritenute più di valore, le informazioni più interessanti e l’approccio con il quale l’azienda interpreta l’innovazione.

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